Il sole splende nel cielo, il che preannuncia una bella domenica soleggiata di metà novembre. Reduci da un piacevole sabato arrampicatorio decidiamo di trascorrere la mattinata sulla via ferrata Ottorino Marangoni che, partendo dal pasese di Mori, risale tutta la bastionata rocciosa posta ai piedi del monte Faè, denominata Monte Albano, offrendo notevoli scorci sull’abitato e su tutta la Vallagarina. La parete è inoltre esposta a sud-est e, pertanto, possiamo goderci tutto il calore che la giornata ci riserva. Giunti in prossimità dell’abitato di Mori, proveniendo da Isera, troviamo parcheggio lungo la via Roma, alle porte del paese in corrispondenza della verticale dell’evidente santuario di Monte Albano, prima tappa verso l’attacco della ferrata. Ci incamminiamo lungo la strada con omonimo toponimo, che sale abbastanza ripidamente fin da subito, fino a raggiungere, dopo pochi tornanti, proprio il santuario (290 m.s.l.m.). I suoi giardini, così come i ruderi del vecchio castello, si possono visitare liberamente. Da qui è inoltre possibile ammirare un primo bel panorama sulla vallata. Proseguendo sulla strada, che già da qualche decina di metri non è più asfaltata, si trova il “Parco Boulder Montalbano” che attraversiamo seguendo la caratteristica segnaletica a fasce bianche e rosse che indica il sentiero. Questo prosegue sino ad un bivio (352 m.s.l.m.) dove sono presenti le indicazioni per la ferrata sulla destra (dal sentiero di sinistra si rientra). Dopo un breve strappo in salita si raggiunge uno spiazzo con panchina dove si trovano la targa commemorativa alla base dell’attacco della ferrata.



I primi metri sono i più pericolosi di tutto il percorso, soprattutto perché la fune d’acciaio non è presente e la prima staffa si trova a circa 3 metri da terra. Una volta raggiunto il terrazzino ci si può assicurare al cavo che continua, senza interruzioni, per tutta la lunghezza della ferrata. Il primo tratto di ferrata si sviluppa in una zona un po’ vegetativa traversando prima a destra per poi risalire in verticale prima di tornare a dirigersi verso sinistra. Sebbene le difficoltà sono limitate la roccia molto levigata costringe a mantenere l’attenzione alta ed è chiaro fin da subito che il grip non sarà il massimo per il resto del percorso. In breve giungiamo ad un salto di roccia ben attrezzato con scalette metalliche che conducono al primo esposto traverso della via. Il cavo offre un solido supporto per le mani lungo tutto il traverso mentre le staffe per i piedi si alternano ad appoggi rocciosi naturali. Al termine del traverso si risale una sporgenza rocciosa, che richiede un po’ di impegno fisico, prima di fare un piccolo zig-zag (prima a destra e poi a sinistra) e ritrovarsi alla base di un diedro che viene superato facilmente grazie alle staffe metalliche presenti su tutta la sua lunghezza. Terminato quest’ultimo inizia una lunga traversata verso sinistra: da prima si affrontano facili roccette per poi proseguire su di un vero e proprio sentiero (costantemente protetti dal cavo) fino a giungere ad un’ampia e comoda cengia rocciosa che prosegue in leggera discesa.




Al termine della cengia ci troviamo davanti ad un camino verticale i cui primi passaggi non sono stati ancora attrezzati con staffe e pertanto richiedono un po’ di impegno fisico. Una volta terminato il camino si esce verso sinistra e si prosegue tra rocce sconnesse e levigate. Nonostante le rocce siano ben solide il fatto che siano così frammentate lascia il dubbio per il quesito “com’è possibile che sia tutto così stabile?”. Proseguendo lungo la cengia, in discesa, il percorso si fa via via più stretto sino a raggiungere un caratteristico spigolo che, nonostante aggirarlo sia piuttosto semplice, genera comunque una bella scarica d’adrenalina per via della marcata esposizione. Qui, difatti, sembra che la ferrata si getti nel vuoto direttamente sull’abitato sottostante. Aggirato lo spigolo il traverso continua verso sinistra e le difficoltà limitate permettono di rilassarsi ed ammirare il panorama che si apre sotto i nostri piedi. Al termine del traverso si trova una piccolo “ballatoio” di metallo dove è anche presente il libro di via che è possibile firmare prima di affrontare gli ultimi tratti verticali che conducono all’uscita. Nonostante tutto il percorso sia eccellentemente protetto da qui in poi non è da sottovalutare l’impegno fisico necessario per terminare il percorso. Prima di ripartire può essere opportuno concedersi qualche piccola pausa in più vista anche l’umana dose di stanchezza accumulata per giungere fino a qui.





Si continua quindi sfruttando le staffe metalliche con cui è stato attrezzato il tratto verticale successivo. Dopo pochi passi verso destra inizia un lungo diedro ben attrezzato con ulteriori staffe come nella parte precedente ma, a differenza di quest’ultima, l’impegno fisico è un po’ maggiore a causa della lieve pendenza negativa. Sempre supportati dal cavo di acciaio continuiamo a salire verso sinistra e ci ritroviamo alla base dell’ultima fatica della giornata: una placca leggermente strapiombante ci separa dalla cima. Quest’ultimo tratto è facilmente affrontabile sfruttando le numerose staffe che formano una scaletta continua fino al culmine della fascia rocciosa (569 m.s.l.m.). Dal terrazzino sommitale è possibile ammirare l’abitato di Mori, tutta la vallata e godersi anche un po’ di meritato riposo prima di cominciare la discesa che, senza alcuna difficoltà, riporta in breve al santuario.





La via ferrata nel complesso è molto piacevole e l’esposizione a sud la rende perfetta per le ore centrali delle giornate invernali. Sebbene molto ben attrezzata e divertente, la salita non deve essere sottovalutata in quanto richiede un po’ di preparazione fisica ed esperienza per essere goduta a pieno.