Prima uscita multipitch sulla parete di Padaro che domina l’omonimo abitato dove, oltre alle rinomate falesie, negli ultimi anni hanno iniziato a farsi spazio alcune vie a più tiri. L’arrampicata è simile a quella che si può apprezzare a San Paolo o alle Coste dell’Anglone per intendersi: muretti compatti intervallati da zone boschive. Le linee sono però tendenzialmente più esclusive, adatte a chi ha già maturato un po’ di esperienza alpinistica. Anche la “via della rampa”, una delle più facili della parete e probabile entry level per la zona, non fa eccezione e, nonostante i gradi siano contenuti, è necessario sapersi muovere bene tra le protezioni.
Il primo tiro risale la placchetta sopra la scritta blu che identifica la via, con arrampicata in aderenza, obliquando verso destra in direzione dello spigolo della parete. Aggirato lo spigolo si trova il primo cordone ed inizia un diedro verticale molto fisico con passaggio iniziale protetto da fix ed anello. L’approccio è piuttosto repulsivo ma diviene più facile una volta agguantata la netta tacca sulla parete di destra che permette di alzarsi e raggiungere la fessura verticale che corre tra le pareti del diedro. Con un paio di passi in dulfer si raggiungono le rocce rotte di destra che, nonostante non siano comodissime, permettono di uscire dal diedro sul terrazzino di sosta. La parte terminale del diedro necessita di essere protetta con friends. 20m, VI-.

Simone sul primo tiro, VI-.
La seconda lunghezza aggira la sosta verso destra per immettersi sulla solida placchetta, che si supera senza troppe difficoltà, chiusa da alcuni arbusti. Una volta terminata ci si sposta ancora verso destra per raggiungere una seconda placca sulla cui sinistra corre una lunga lama verticale che accompagna l’arrampicata fino a che quest’ultima non termina trasformandosi in un’orecchia. Il tratto in placca è leggermente appoggiato e totalmente sprotetto ed è necessario arrangiarsi inserendo friends nella fessura particolarmente umida e muschiosa. Al termine della lama inizia la sequnza di passaggi più ostica del tiro, adesso ben protetta da uno spit. Si entra in un simil-diedro caratterizzato da roccia non sempre solida dove, prestando massima attenzione, si raggiunge un secondo spit che suggerisce l’inizio di un altro passo “difficile”: un breve traverso sulla placchetta di sinistra consente di raggiungere una serie di prese più buone e rimontare sulla stretta cengia dove si sosta. 25m, VI-.

L’inizio della seconda lunghezza, VI-.
Il terzo tiro prosegue su roccette rotte più facili in direzione dello spigolo della parete di destra che si aggira in corrispondenza di un arbusto. Inizia ora una sezione molto sporca e decisamente brutta, lungo rampetta instabile, che conduce, dopo un traversino terroso finale, alla base di una placchetta più solida dove penzola un cordone. Si sale a destra di quest’ultimo fino ad incontrare una serie di comode e fonde fessure dove la linea inizia a traversare verso destra, con movimenti in aderenza, fino a sbucare sulla cengetta rocciosa di sosta. 30m, V+.

Martina al termine del terzo tiro, V+.
La quarta lunghezza prosegue verso destra aggirando la parete dove ci accoglie una bellissima placca a gocce, fonde e larghe. Risalire la placca è un vero piacere per tutti i sensi e l’arrampicata si svolge spensierata per tutta la sezione. Dopo un’iniziale rampetta appoggiata, proteggibile grazie alla fessura di sinistra, ci si sposta sul muro di destra, più verticale ma comunque facile, seguendo la linea dei cordoni ed anelli a parete che culmina su cengia pendente alla base di un muraglione strapiombante. La sosta è da attrezzare su fix ed è in comune con la “via del Cristallo”. Tiro nel complesso meritevole, sia per la particolarità della roccia che per l’eleganza dei movimenti. 45m, V.

Martina al termine della bella placca a buchi della quarta lunghezza, V.
Il quinto tiro abbandona la verticale di salita ed inizia un facile traverso verso destra che conduce nel visibile fitto boschetto. Costeggiando la parete si supera la linea di spit della via “Il cavaliere blu” e si prosegue in direzione di un canale dove la zona boschiva termina proseguendo verso destra. Alzando lo sguardo è possibile intravedere l’anello di sosta posizionato al termine di una serie di risalti terrosi. L’arrampicata è quella che è e spesso gli arbusti sono le prese migliori non solo per la progressione ma anche per piazzare cordoni a protezione della salita lungo questo tiro di collegamento. 40m, II.

Martina alla sosta panoramica prima del facile traverso di L5, II.
La sesta lunghezza è senza dubbio la più difficile di tutta la salita. Inizia senza troppe pretese su rampetta appoggiata che culmina alla base di una grande e pronunciata orecchia staccata che si supera agevolmente grazie alla comoda fessura. Terminata questa si entra in un diedro molto “sonoro” dove il senso di sicurezza cala drasticamente vista la qualità della roccia e delle protezioni costituite da cordoni attorno a massi dubbiamente incastrati. L’arrampicata non è comunque difficile anche se le labili ed instabili prese che si è costretti a tenere rallentano psicologicamente la salita. Alla fine del diedro si esce sulla placca di destra dove i passaggi si fano più ostici mano a mano che si sale e si raggiunge lo spigolo della parete caratterizzato da una bella e larga fessura verticale. Si segue la fessura fino al suo termine dove la linea torna a piegare verso sinistra in direzione delle cavità a parete che, con allungo finale, conducono al termine del muro ed alla sosta. 45m, VI-.

Simone sulla sesta lunghezza, VI-.
Il settimo tiro rimonta il muretto posto a sinistra della sosta con passo iniziale non semplice ma che poi prosegue con arrampicata piacevole su buone prese scavate dall’acqua. Al termine del breve muro si attraversa la cengia in direzione della prossima rampa che si raggiunge attraversando una sezione di roccia gialla molto marcia. Il tratto è veramente brutto da passare ma le protezione, in compenso, sono molteplici anche se alcune piazzate male. L’ultimo tratto si svolge in discesa, in prossimità di un arbusto, e permette di raggiungere il terrazzino di sosta. 25m, IV.

Smorfie di disapprovazione prima di affrontare il traverso marcio di L7, IV.
L’ottava lunghezza supera la placca appoggiata che, dalla sosta precedente, sembrava essere alquanto verticale e repulsiva. Si rivela invece essere molto gradevole da salire grazie alla pendenza e alle numerose gocce a parete. Il passo più duro, se così lo si può definire, arriva solo al termine della placca quando questa collide con la parete di destra e forma una fessura che si segue fino al suo termine dove muta in una fastidiosa rampa terrosa. Questa porta ad una grottina che si lascia sulla sinistra e si prosegue fino a metà della parete dove, nascosta alla vista, è presente la sosta. 40m, V.

La placca appoggiata dell’ottavo tiro, V.
Il nono tiro obliqua verso destra rimanendo alto rispetto al terrazzino di sosta. La linea non è evidente per via del fatto che le protezioni a parete sono rade e particolarmente nascoste, almeno per quanto riguarda i primi metri. Come riferimento salire di poco verticali alla sosta puntando, sulla destra, allo spigolo della parete che si raggiunge dopo un breve traverso con piedi su placchetta appoggiata e mani alte oltre lo strapiombetto. Aggirato lo spigolo si procede su rocce rotte più semplici ma meno stabili su cui è necessario prestare particolare attenzione. Alla fine delle roccette è presente un terrazzino alberato dove si sosta comodamente. 30m, V+.

Martina sulle roccette rotte al termine del nono tiro, V+.
L’ultima lunghezza è un pro forma per uscire dalla via e guadagnare così il sentiero di rientro. Si oltrepassa la sosta sulla destra e si prosegue a gradoni oltrepassando un albero e ritrovandosi alla base di un muretto che si supera atleticamente su buone prese. Oltre questo una rampa conduce, camminando, al blocco staccato dove un fix invita alla sosta finale. 30m, II.

Le ultime fatiche della giornata, II.
Una via tutto sommato piacevole ma non da sottovalutare. L’arrampicata è quasi sempre verticale e le poche zone boschive lungo il percorso non disturbano più di tanto. Prestare attenzione alla roccia che in alcuni tratti è decisamente scadente.
Pur avendo sentito parlare del settore di arrampicata, sarebbe utile indicare la località, senza dare per scontato che tutti sappiano dove si trova, senza obbligare una ricarica apposita su internet. È sufficente indicare la zona (in questo caso Arco (TN)), anche se è vero che a fine pagina su “tag” c’è scritto “Valle del Sarca”.
Infine mancano indicazioni di avvicinamento e discesa… Che bisognerà cercare su internet…
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Buongiorno Federico,
Come può verificare Lei stesso tutte le salite recensite in questo blog sono orfane di molte informazioni. L’avvicinamento e la discesa non sono mai descritti, così come il nome degli apritori non viene mai citato, il materiale necessario, l’esposizione, il periodo consigliato, lo sviluppo complessivo, l’altitudine, le tempistiche ed altri parametri più o meno utili. Omettere questo tipo di informazioni è una nostra specifica scelta. Il motivo principale è che non abbiamo nè la competenza nè la presunzione di volerci sostituire alle guide cartacee tecniche esistenti redatte da autori che fanno quello di professione (e di cui ne apprezziamo il lavoro). Vogliamo piuttosto essere d’ispirazione e d’aiuto al lettore nella scelta dell’itinerario più indicato alle sue esigenze quando la lettura di una relazione, più tecnica e meno descrittiva, non è sufficiente a fornire una visione dettagliata dell’itinierario.
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