Sardegna

Giorno 1

E’ quasi ottobre oramai, e quest’anno è periodo di ferie. Decisi a variare un po’ l’offerta arrampicatoria che si può trovare nei dintorni di Trento, decidiamo per un meta ormai famosa per il climbing: la Sardegna. Una terra meravigliosa che offre svariate possibilità di divertimento con vie su roccia sempre varia. Sbarcati ad Olbia si possono già ammirare e raggiungere in breve le caratteristiche pareti di granito bianco della zona. Come rito di iniziazione decidiamo di dirigerci al Pilastro Marragone dove sono presenti linee brevi e senza avvicinamento rilevante, ottime per prendere confidenza con la roccia del luogo.

La parete dove corre “Furto a Nieddu”.

Nello specifico la scelta ricade sulla via “Furto a Nieddu”, completamente da attrezzare, alla cui base è dipinta una freccia blu che ne indica l’attacco. Il primo tiro sormonta due facili cengette per poi risalire il diedro di destra. Il passaggio in uscita da quest’ultimo ci rende subito consci di quanto questa roccia e questo stile d’arrampicata siano diversi da quelli a cui siamo abituati. In generale l’intero diedro non è appigliato e va salito interamente in spalmo in aderenza con molta fiducia nel lavoro di compressione eseguito da mani e piedi sulle pareti laterali. Giungiamo a fatica alla fine del diedro dove è necessario rimontare una particolare struttura dalla forma bizzarra, ben appigliata nel suo punto più alto. Un ultimo passo, delicato e di equilibrio, in un camino svaso ci consente di raggiungere la comoda cengia di sosta dove passa anche una ferrata di recente realizzazione (30m, VI). Dopo una breve pausa ad ammirare il verde panorama collinoso circostante, dove solo ogni tanto affiora qualche balzo roccioso, proseguiamo l’arrampicata lungo una splendida fessura che taglia verso sinistra la parete fino a che torna a salire verticale. Anche qui l’aderenza la fa da padrona: prese piatte ma con molto grip e passi decisi ci consentono di raggiungere la prossima sosta che attrezziamo su clessidra, alla fine di una bella fessura (20m, VI+). Senza percorso obbligato continuiamo la facile progressione in direzione della grande cengia che sta alla base di un diedro rosso dove si sosta comodamente su di un arbusto (20m, III+). Proseguiamo sul tiro più lungo della via, almeno dalla relazione a nostra disposizione, e decidiamo di dividerlo in due parti perchè dopo qualche metro di progressione ci accorgiamo che l’attrito inizia a farsi pesante. Partiamo puntando il diedro rosso che sale alla nostra destra. Lo raggiungiamo con passaggi in spalmo e oltrepassando un po’ di vegetazione che disturba la salita. Raggiunta la base del diedro pieghiamo verso sinistra fino a raggiungere uno strapiombo con un traverso delicato sul quale la roccia si sgretola superficialmente regalando quel senso di instabilità costante. Con passo difficile in allungo passiamo sulla parete di sinistra più appoggiata e semplice proseguendo in traverso fino all’imbocco di un diedro. Visto l’importante attrito in questo punto decidiamo di scendere pochi metri e sostare posizionando un cordone attorno ad un grosso spuntone (20m, VI+). Torniamo a risalire raggiungendo il punto precedentemente conquistato e ci avventuriamo nel diedro rimanendo sulla parete di sinistra fino ad incontrare una clessidra con cordone bianco dove proseguiamo all’interno del diedro/camino strapiombante, ma ben appigliato, fino al suo termine dove sostiamo su di un albero (15m, VI+). Dalla sosta saliamo verso destra rimanendo sullo spigolo della parete. Qui la roccia è lavorata a buchi in modo sublime e ciò rende l’arrampicata divertente consentendo buoni riposi tra i passaggi più duri. In un continuo processo di metamorfosi negli ultimi metri la roccia cambia ancora tanto che qualcuno esclama: “sembra quasi la Marmolada!”. Colpo di calore o meno proseguiamo verso la sosta attrezzata su spit all’arrivo della ferrata (20m VI). Senza percorso obbligato raggiungiamo la cima della parete dove ci godiamo il fresco della sera ed il tramonto (30m, III). Una calata di circa 10 metri, all’interno di un camino fatiscente ci consente di raggiungere la base della parete e di incamminarci verso la macchina. La via è sicuramente bella ed interessante e la nostra poca confidenza con la roccia, lo stile d’arrampicata e la mancanza di portezioni a parete le hanno dato quel pizzico di pepe in più.

Giorno 2

Turisticamente parlando Cala Goloritze è uno di quei luoghi che si dovrebbero assolutamente visitare in Sardegna ed è famosa, oltre per le sue acque, anche per il suo Pinnacolo che si erge sopra l’omonima spiaggia. Lo spuntone di roccia è chiamata Aguglia ed è conosciuta in tutto il mondo per la sua scenicita grazie anche ad un ambiente magico che la circonda. Per raggiungere la cala bisogna intraprendere un sentiero all’interno di un suggestivo e caratteristico canyon accanto ad una serie di grotte probabilmente utilizzate come ripari. Non si possono altresì ignorare le impressionanti pareti che si ergono sul lato sinistro del canyon e, verso fine percorso, proprio il macigno roccioso che splende sopra la cala. Nonostante il percorso sia piuttosto semplice, i 450 metri di dislivello richiedono circa un ora e mezza ad essere percorsi in discesa e 2 in salita, ma è uno sforzo che sicuramente ripaga e viene ripagato. L’ingresso al sentiero è garantito solo a valle di un pagamento di 6€, in quanto la gestione è affidata ad un ente locale, ed è percorribile solo fino alle 17 quando vige l’obbligo di lasciare la cala per permettere a tutte le persone di rientrare in sicurezza con la luce del sole. I nostri piani erano però leggermenti diversi visto che il sole cocente del pomeriggio ci avrebbe sicuramente rallentato nell’ascesa arrampicatoria dell’Aguaglia. Con il benestare dei gestori a rientrare più tardi (grazie ancora) e frontalini nello zaino raggiungiamo la cala di Goloritze nel primo pomeriggio dove ci godiamo un rinfrescante tuffo prima di dirigerci alla base della parete verso le 15.

Umberto alle prese con la bella placconata della via “Sole incantatore”

La linea scelta, per andare sul sicuro, è probabilmente anche la più famosa della zona: “Sole incantatore”. Visto lo stile di arrampicata in placca tecnica, ed il sole ancora a battere sulle nostre teste, capiamo subito che non sarà una passeggiata. Saliamo la prima lunghezza superendo una serie di blocchi che ci portano ad una sosta intermedia dove la parete inizia a farsi più verticale. Qui alcuni passaggi obbligatori su piccole gocce, tarando bene ogni singolo gesto, ci permettono di superare il punto più debole di un piccolo strapiombo e raggiungere la prima sosta (45m, 6b). Dalla sosta notiamo subito dove saranno le difficoltà maggiori del tiro successivo: una fessura verticale leggermente esposta. Le prese, piccole ma evidenti grazie all’usura comunque mai fastidiosa, ci accompagnano per il primo tratto dove un saggio utilizzo dei piedi permette una progressione più agevole fino a che la fessura non si allarga. Nonostante qui le difficoltà siano minori ogni movimento necessita accurata valutazione e regala un’arrampicata di soddisfazione. Al termine della fessura sostiamo (40m, 6b+). Abbandoniamo la fessura per uscire sulla placca di sinistra dove ci attende un bel specchio liscio ed intervallato da qualche sporadico buchetto. Cercando di esprimere, al meglio delle nostre capacità, delicatezza in ogni movimento, ci facciamo partecipi di un affascinante gioco di equilibrismo, sia fisico che mentale. Ogni passaggio ci entra nel cuore che risponde battendo emoziononato. Giunti alla sosta non possiamo che sorridere di soddisfazione per ciò che è stato e prepararci all’ultimo tiro (50m, 6b+, probabilmente 6c). Proseguiamo su parete più appoggiata dove le prese di certo non mancano fino al di sotto di uno spigolo dove si diramano 2 varianti. Ignorando quella di sinistra, sulla carta più facile (6b), la linea centrale ci obbliga ad un passaggio molto tecnico su minute prese per i piedi e la mano sinistra in spalmo su presa piatta ma con roccia ruvida. La bellezza del passaggio, con particolare cornice a picco sul mare, rende l’esecuzione esaltante. Oltre le difficoltà pochi semplici passi ci portano in vetta alla guglia ed un urlo liberatorio disturba la quiete che ci ha accompagnato per tutta la salita. Il mare cristallino, da cartolina, riflette ed accompagna le nostre calate in doppia che ci riconducono alla base della parete attorno alle 19. Il sole sta calando e la spiaggia è ormai deserta. Un meritato bagno sancisce la fine di una giornata perfetta in una cala silente. Peccato solo che al nostro rientro dal mare le zanzare abbiano fatto il loro sporco dovere divorandoci vivi!

Giorno 3

Cala Gonone è ormai una meta conosciuta per l’arrampicata. Le pareti di questo paese ospitano molte falesie, alcune delle quali a picco sul mare. Il posto è molto caratteristico e si può descrivere come una valle ad anfiteatro, raggiungibile dal capoluogo attraverso un tunnel che si affaccia in cima alla vallata. Proseguendo invece nell’entroterra, verso sud, si apre un ampia vallata che si chiude nelle Gole di Gorropu alla cui sinistra orografica svettano le pareti del Monte Oddeu le quali ospitano la via “La mia Africa”. Ci approcciamo alla parete faticosamente vista la fitta vegetazione e le piante tutt’altro ospitali che ci accolgono con spine di vario genere. Feriti sulla pelle ma non nell’animo raggiungiamo la base della parete che presenta un calcare grigio compatto con susseguirsi di belle placconate. Carichi a molla attacchiamo la via.

Matteo in placca lungo la via

Per fortuna che per i primi 7 metri le prese sono nette ed i piedi comodi, perchè il primo spit è più o meno a quell’altezza. Dopo di questo si raggiunge il secondo, questa volta su placca lavorata, dove bisogna stare attenti a non proseguire in verticale ma discendere leggermente verso destra per un paio di metri e proseguire in traverso su piccole gocce per le mani e piedi a spalmo. Superiamo abbastanza precariamente il passo più ostico del tiro e proseguiamo su prese più marcate con arrampicata comunque difficile e di equilibrio fino alla sosta (35m, 6b+). Anche il tiro successivo prosegue sulla falsa riga della placca appena superata: passaggi sempre aleatori su gocce dove bisogna saper trovare la giusta determinazione per lasciare andare una presa e passare a quella successiva. (35m, 6b). Un passaggio molto semplice su blocchi ci porta ad una zona più boschiva che seguiamo fino al suo termine dove ci aspetta uno strapiombo. Sulla sua destra passa una linea di spit che appartiene ad un altro itinerario che ignoriamo ed entriamo a sinistra in un vago diedro leggermente vegetativo che esce in seguito su placca. Dopo un paio di metri facili raggiungiamo la base di un muro verticale caratterizzato da piccole concrezioni all’apparenza destinate ad una tragica caduta ma la cui rugosità permettè invece di rimanere aderenti alla parete e proseguire uscendo verso una grossa lama staccata dove, al termine di essa, è presente la sosta (30m, 6b+). Una placconata compatta e con poche prese sembra delineare il tiro successivo. Le difficoltà principali ricadono infatti nel trovare la giusta linea di ascensione poichè le piccole gocce che caratterizzano la parete tendono a nascondersi alla vista e confondersi con il grigio della roccia regalando un’enorme tela monocromatica. Movimenti lenti e ponderati ci accompagnano attraverso un susseguirsi di passaggi difficili ed obbligatori dove i piedi a spalmo sono una costante fondamentale per raggiungere il termine delle difficoltà alla base di un diedro (20m, 6c). Proseguiamo verso la base di una fessura obliqua svasa dapprima su buone prese ed in seguito tramite arrampicata molto tecnica su prese piccole o svase in cui è fondamentale il posizionamento corretto del corpo e l’utilizzo dei piedi. La parte finale della fessura è più marcata e, tramite una serie di passaggi in dulfer si esce verso muri verticali tecnicamente più facili (35m, 6c). Per placca non banale continuiamo verso sinistra portandoci all’interno di un diedro che saliamo per alcuni metri obliquando decisamente verso destra ed uscendone su buone prese ma con passi fisici. L’esposizione qui inizia a farsi sentire mentre l’arrampicata prosegue in maniera entusiasmante su ottime prese e roccia stupenda sino al termine della via (30m, 6b). La via merita sicuramente una ripetizione. L’arrampicata molto tecnica, su placconate superbe, la rende una vera e propria danza sulla roccia. Gli amanti dello spalmo apprezzeranno ogni singolo passaggio!

Giorno 4

L’avvicinamento per Punta Giradili non è sicuramente uno dei più comodi e già raggiungere in macchina l’ovile Us iggius, da dove parte il sentiero che porta alla parete, è una bella impresa ed una mezza avventura. La traccia, in discesa verso Pedralonga, ci conduce alla grande cengia alla base della parete Giradili regalandoci da subito un panorama spettacolare. La fascia rocciosa, che sembra padroneggiare il mare, ospita molteplici linee di salita su calcare a gocce della migliore qualità. La via “Mediterraneo” è una di queste, tra le più ripetute, è diventata una grande classica della parete.

Il panorama dalla parete di Punta Giradili.

Il primo tiro descrive già a pieno quelle che saranno le caratteristiche della via. Iniziamo salendo su placca grigia a gocce che via via diventa più verticale e difficile. La difficoltà maggiore risiede nel trovare la sequenza giusta di movimenti, sempre delicati e d’equilibrio, con le prese mai evidenti ad un primo sguardo, ma piccole, nascoste e faticose da individuare (6b+, 50m). Con bel passo atletico superiamo lo strapiombetto che si oppone a noi oltre la sosta e procediamo aggirando la parete verso destra su prese minute. Qui il percorso torna facile e verticale, con prese piuttosto nette fino alla sosta (40m, 6a+). I grandi strapiombi che chiudono la gigantesca grotta alla nostra sinistra, che ci ha fatto da cornice in questi primi tiri, sono davvero imponenti e maestosi ed incudono timore solo a guardarli. Anche a destra della grotta la parete è cosparsa di strapiombetti più docili e per raggiungerli attacchiamo una bella placca prima verso destra e poi verso sinistra alla ricerca del miglior grumolo che ci consente di procedere in maniera più agevole. Anche in questo tratto lottiamo con l’equilibrio sempre alla ricerca del giusto bilanciamento prima di poter muovere l’arto successivo. Il tiro è breve e dopo pochi metri raggiungiamo la piccola cengia di sosta (15m, 6b+). Del tiro successivo, sulla descrizione a nostra disposizione, avevamo letto: “un muro liscio e strapiombante sorprendentemente comparso da appigli netti e distanziati”. Nella nostra testa “Dolomitica” ci eravamo già fatti viaggi spaziali lungo un tetto bello pronunciato, con buone prese, dove poter sbandierare fieri tra un movimento e l’altro. Ci si presenta invece davanti una placconata strapiombante che non sembra avere nulla del genere, bene pensiamo… Tornati con i piedi nella realtà del momento approcciamo la parete e dopo nemmeno 2 metri iniziano le “vaschette” promesse, nascoste dal grigio della roccia. Con movimenti veloci per non consumare troppe energie ci spostiamo verso destra su piccole prese a grumoli in forte strapiombo e continuiamo sempre verso destra alla ricerca di appigli migliori che non si fanno attendere molto. La pompa si fa sentire eccome e gli ultimi movimenti, nonostante le prese siano nette e buone, sono particolarmente sofferti ma una volta raggiunta la sosta ci lasciamo andare in un urlo liberatorio. Un tiro semplicemente bellissimo (25m, 7a+). La linea ora prosegue obliqua verso sinistra in quanto lo strapiombo sopra di noi è troppo repulsivo per essere superato. Procediamo su piccoli grumoli con movimenti sempre posati fino a che ci accoglie una placca più appoggiata che sale in verticale su roccia lavorata dall’acqua che, nel tempo, ha creato una quantità impressionante di buchi più o meno grandi. Basta scegliere quello più comodo per le mani, mentre i piedi sono messi a dura prova in questa tratto (30m, 6b). Saliamo ora in verticale con difficoltà più contenute dove ogni presa sembra sia stata messa appositamente al suo posto. Giunti in prossimità degli strapiombi iniziamo ad obliquare nuovamente verso sinistra attraversando un’altra fantastica placconata grigia repulsiva ad un primo sguardo ma nella realtà molto ruvida ed aderente. Sostiamo su di un terrazzino (40m, 6a). Riprendiamo la salita su splendide gocce per una decina di metri. Sentiamo che i piedi iniziano a voler prepotentemente uscire dalle scarpette, ma è il momento di stringere i denti, manca poco e la vetta è vicina. Traversiamo verso sinistra su piccolissime prese alla ricerca di quelle migliori che permettono di rimanere attaccati alla parete. Passaggi lenti e posati sono fondamentali. Raggiungiamo così una nicchia dove sostiamo (25m, 6c). Fino ad ora la via ci ha regalato molte emozoni ed un’arrampicata stupenda che si è svolta, nella maggior parte dei casi, lungo bellissime e solide placche lavorate. Sopra di noi, in verticale rispetto alla sosta, passa la via “Oiscura”, un 7b che abbiamo evitato accontentandoci di una delle due varianti più semplici proposte dalla relazione. Ad essere onesti quella che esce verso sinistra, gradata 6c+ non la abbiamo vista e ci siamo diretti verso l’uscita di destra. Il tiro, anche se corto, regala un’arrampicata molto bella in leggero strapiombo che alterna prese buone ad ottime dove ogni sezione ha il suo giusto riposo. Un’ultima ribaltata logica ci porta in cima alla parete dove terminano le difficoltà e ci possiamo finalmente godere a pieno il panorama (15m, 6c). La linea nel complesso ci è piaciuta molto, sempre logica e ben attrezzata. Se passate da queste parti noi ve la consigliamo di certo.

Giorno 5

La parete di Punta Giradili ci ha talmente stregato, con la sua roccia stupenda e la sua visuale mozzafiato, che, anche l’ultimo giorno delle nostre brevi ma intense vacanze sarde, abbiamo deciso di tornarci. Questa volta optiamo per una via leggermente più lunga e costante ma con i gradi più docili, almeno sulla carta. Un po’ preoccupati dalla possibilità di cuocere letteralmente a parete, visto che questa via rispetto alla precedente è meno soleggiata, tiriamo un sospiro di sollievo quando le previsioni meteo indicano una giornata più uggiosa e meno soleggiata.

Recupero del sacco sulla via “Sette anni di solitudine”, meglio salire leggeri!

Raggiungiamo l’attacco di “Sette anni di solitudine” dove si palesa di fronte a noi un forte strapiombo prima su buone prese ma che ospita presto un passaggio molto ostico su tacche minute che comportano una bella sollecitazione sulle dita non ancora ben calde. Col senno di poi un pre-riscaldamento prima di partire era doveroso. Saliamo ancora qualche passo in strapiombo, ora più facile, fino a raggiungere la sosta (30m, 7a). Saliamo verso sinistra oltrepassando alcuni spit che via via si fanno più radi fino a scomparire per una quindicina di metri. Il tratto sprotetto è facile ma non capiamo il perchè gli apritori non abbiano scelto di proteggere meglio questa sezione visto che la maggior parte degli incidenti accade proprio perchè si sottovalutano le difficoltà nei tratti semplici. Raggiunto lo spit iniziano anche le difficoltà: una traversata verso destra su piccole tacche ci porta ad un buco rovesciato ed infine alla sosta (40m, 6c+). Proseguiamo nel bel diedro di sinistra con passaggi in opposizione che consentono di raggiungere la sosta successiva al suo termine (20m, 6b+). Poi ancora in verticale prima su facile placca armoniosa che si conclude con una sezione molto tecnica su piccole gocce che entusiasmano ancor di più una salita fin qui davvero meritevole (35m, 6c+). La roccia, di un calcare della migliore fattura, ci accompagna nella prossima lunghezza caratterizzata da innumerevoli gocce ruvide ed abrasive dove ogni presa va ricercata e le dita imprecano pietà ad ogni movimento. Saliamo in verticale per poi affrontare un’uscita delicata verso sinistra dove una minuta tacca nascosta aiuta ad intrerpretare al meglio il passaggio (30m, 6c+). Dopo una serie di lunghezze piuttosto intense il prossimo tiro permette di tirare un po’ il fiato. Nonostante le difficoltà siano limitate l’arrampicata tecnica e delicata regala comunque belle soddisfazioni durante la progressione e la roccia, qui particolarmente ruvida ed abrasiva tale da incidere anche le pelli più spesse, costringe a mantenere l’attenzione per evitare spiacevoli cadute. Senza pensare troppo puntiamo alla base dell’evidente diedro del prossimo tiro dove sostiamo (25m, 6a). Guardiamo il tiro successivo con estrema paura e rispetto: un severo diedro inciso parte oltre la sosta e termina, dopo una decina di metri, alla base di un tetto che ad occhio appare molto difficile da superare. Sebbene dal basso non si noti, salendo di poco ci si accorge subito di quanto tutta la lunghezza strapiombi. L’arrampicata si svolge prevalentemente in opposizione tra le pareti del diedro, con qualche passo in dulfer, ed è particolarmente continua e fisicamente faticosa. Trovare buoni punti per riposare non è semplice ma fondamentale per non arrivare troppo ghisati prima dell’ultima sezione sotto la sosta dove, con le forze ormai finite, gli ultimi passaggi fisici conducono alla sosta ed al meritato, momentaneo, riposo (40m, 7a). Proseguiamo ancora nel diedro che abbandoniamo verso destra con passaggio non semplice sullo spigolo molto aereo e continuiamo ora più facilmente per un paio di metri lungo un secondo dietro al cui termine torniamo verso sinistra sulla verticale della sosta sottostante. Alternando passaggi atletici e delicati raggiungiamo la catena (30m, 6b+). Per muro tecnico e verticale, ben lavorato a gocce, proseguiamo la nostra salita e, dopo una serie di movimenti in aderenza raggiungiamo una cengia (35m, 6b+). Proseguiamo obliquando verso sinistra puntando all’evidente diedro strapiombante che pare essere l’unica “via di fuga” da questa immensa parete di calcare compatto. Anche questo tiro è abbastanza delicato e le nostre mani ed i nostri piedi iniziano a soffrire. Un passaggio più complesso nel finale ci porta alla base di un piccolo tetto strapiombante (30m, 6b). Ripartiamo con una bellissima sezione in strapiombo su ottime prese al cui termine è presente un duro bloccaggio per allungarsi bene alla ricerca di buone prese molto in alto. Una volta raggiunte si esce su sezione più semplice arrivando alla cengia di sosta (25m, 6b+). Le difficoltà sono finalmente terminate e possiamo goderci gli ultimi 2 tiri facili per raggiungere la vetta. Il primo sale a sinistra della sosta oltrepassando uno spigolo e proseguendo sulla placca soprastante, ben appigliata e protetta (20m, 5c). Ancora in verticale, seguendo la linea delle clessidre a parete alternate ad alcuni fix, raggiungiamo il culmine della parete senza ulteriori difficoltà (20m, 5b). La via è un capolavoro, peccato solo per la spittatura che, nonostante sia data come S1+, presenta in alcuni tratti runout notevoli e pericolosi. L’alternanza di strapiombi e placche rende la salita sia fisica che tecnica, consigliata per chi ha già una buona preparazione atletica e psicologica.

L’esperienza in Sardegna ci ha regalato forti emozioni per numerevoli fattori diversi: la roccia fantastica e il paesaggio mozzafiato sempre con l’orizzonte sull sfondo, così diverso da quello a cui siamo abituati in montagna, faranno riemergere in noi fantastici ricordi per molto tempo a venire. Proprio un bel posto dove passare una settimana arrampicatoria, se capita che ve la propongano non pensateci due volte ed andateci!

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