Un caldo torrido accomagna la nostra discesa in Valle del Sarca già nelle prime ore della mattina. E giusto che i temporali dell sera precedente qualcosa hanno rinfrescato! Questa volta la meta è Santa Massenza, la parete è quella dei “Due Laghi” e la via è “Il Gran Diedro”. Il sole, bello alto nel cielo, ci ha fatto sudare durante il breve avvicinamento ma alla base della parete soffia una leggera brezza rinsaviente che ci fa ben sperare ma che si rivelerà illusoria. Oramai siamo qui, si sale!
Il primo tiro, molto corto, sale la breve fessura verticale, particolarmente svasa e stondata per via dell’erosione dell’acqua che la ha lisciata. Questo rende la progressione ostica soprattutto dalla metà del muretto in poi dove la parete si verticalizza maggiormente ed il grip viene meno. L’arrampicata si svolge prevalentemente con le mani all’interno della fessura alla ricerca degli incastri più sostenibili mentre i piedi spingono ed equilibriano lungo le pareti laterali intervallate, quà e là, da incavi stondati dove appoggiare la punta delle scarpette. Verso il termine la fessura spancia verso l’interno ed un piccolo arbusto, con cordone penzolante, ostruisce il passaggio rendendolo difficoltoso da affrontare senza usufruire dell’arbusto stesso in quanto le prese “comode” sono abbastanza lontane dalle ultime prima della pancia. Ci si trova dunque al di sopra di un evidente terrazza che si segue senza difficoltà fino al raggiungimento della base del diedro dove si sosta agevolmente. 15m, VI-.

Simone lungo il primo tiro, VI-.
La seconda lunghezza segue brevemente la rampa appoggiata, che corre sulla parete di destra del diedro, fino ad un evidente arbusto. Da qui si prosegue verso sinistra lungo muri più verticali fino alla sosta. I primi metri risultano facili grazie ai molteplici appigli che offre la roccia lungo entrambe le pareti del diedro. Raggiunto l’albero ci si sposta leggermente verso destra per superarlo e montarci inevitabilmente sopra prima di approcciare la parete successiva. Questa, molto breve, conduce ad un primo terrazzino roccioso che si segue fino alla base del muretto finale del tiro. Nonostante la linea di chiodi segua l’evidente fessurina di sinistra si tende con il corpo a rimanere piuttosto centrali, almeno nella parte iniziale, così da sfruttare a pieno l’appoggio del muretto di destra che consente di guadagnare i primi metri. Rientrando verso sinistra si esce su cengia terrosa oltre la quale è presente la sosta. 30m, VI-.

L’inizio della seconda lunghezza, VI-.
Il terzo tiro prosegue lungo il diedro oltre la sosta attraverso arrampicata bella ma piuttosto monotona alla lunga. Si inizia approcciando una rampetta che, obliquando verso sinistra, conduce al diedro vero e proprio. Questo tratto è poco protetto ma è possibile inserire qualcosa quà e là. Tutt’altra storia è invece il proseguo del diedro dove i chiodi abbondano anche se il loro stato non è certo dei migliori e qualcuno non avrà vita lunga. Nonostante questo la progressione risulta essere sicura se integrata, ogni tanto, con qualche protezione rapida lungo la fessura che separa le pareti. L’arrampicata risulta essere un automatismo che presto si padroneggia: mani lungo le fessure o sulle presette di sinistra e piedi che si alzano in modo alternato lungo le pareti laterali sfruttando gli appoggi naturali della roccia. Si prosegue in questo modo fino a che si giunge ad un albero che spezza la continuità. Superato si continua ancora con lo stesso stile fino ad intravedere la sosta sulla destra che si raggiunge abbandonando la fessura ed arrampicando lungo la placchetta per gli ultimi metri. 30m, VI-.

Martina al termine del terzo tiro, VI-.
Abbandonata la sosta sulla destra la quarta lunghezza rientra nel diedro lasciato da poco, ora più appoggiato e ricco di appoggi. Le numerose protezioni del tiro precedente sono un lontano miraggio e, a parte per un friend incastrato, è necessario proteggersi lungo tutto lo sviluppo. L’arrampicata è la medesima del tratto sottostante ma agevolata da una larga fessura accogliente e da inclinazione piuttosto favorevole. Dopo i primi metri, ancora verticali, la parete infatti si appoggia fino alla sosta successiva posizionata su di un grosso arbusto al termine del muro. 20m, V+.

Martina verso il termine della quarta lunghezza, V+.
Il quinto tiro evita la vegetazione soprastante aggirandola verso destra al fine di riportarsi all’interno del diedro successivamente. Dalla sosta si cammina lungo la cengia per qualche metro oltrepassando un primo chiodo e giungendo sotto la verticale di un cordone dove si sale il breve muretto e si inizia un traverso su placca verso sinistra. Ritornati all’interno del diedro lo si segue per tutta la sua lunghezza, con arramicata analoga a quella dei tiri precedenti, senza particolari emozioni. Anche qui le protezioni scarseggiano ma inserirne di rapide non è difficile e la progressione risulta tranquilla grazie anche alle difficoltà non elevate del tratto. Solamente verso metà diedro una sporgenza da aggirare verso destra impegna maggiormente l’arrampicata che prosegue in seguito spensierata fino alla sosta posizionata sulla parete di destra prima che la vegetazione blocchi ulteriormente il passaggio. 30m, V+.

Martina sfoggia la sua elasticità lungo il diedro del quinto tiro, V+.
La sesta lunghezza traversa brevemente verso destra lungo la bella placca fessurata in direzione dello spigolo della parete. Dopo il primo cordone si obliqua leggermente verso l’alto ignorando un secondo cordone dove risale la linea “Due Spigoli”. L’arrampicata è facile e piacevole ed in poco tempo si giunge in prossimità dello spigolo dove si inizia a salire in verticale lungo facili roccette rotte. Queste conducono direttamente al terrazzino di sosta costituita da una coppia di cordoni all’ombra di un alberello. 12m, IV.

La placchetta della sesta lunghezza, IV.
Il settimo tiro, in comune con la via “Due Spigoli”, inizia approcciando il muretto che fa da base ad una breve placconata leggermente appoggiata che si supera attraverso arrampicata in aderenza. Il tratto è semplice e conduce sullo spigolo della parete di destra che muta presto in crestina iniziando così una lunga cavalcata, su roccette sempre da verificare, che si sviluppa verso sinistra. Tutto il tratto è sprotetto e difficilmente si riesce ad inserire qualcosa, prestare quindi attenzione nonostante le difficoltà siano limitate. Verso la fine, in corrispondenza del punto in cui la cresta termina, la linea si divide in 2: sulla sinistra (chiodo + cordone evidente) prosegue la via “Due Spigoli”, mentre verso destra, oltre un breve terrazzino, è presente la sosta del nostro itinerario, ai piedi di un diedro giallo. 25m, V-.

Lo spigoletto del settimo tiro, V-.
L’ottava lunghezza inizia portandosi alla base del diedro giallo che dalla sosta precedente appare bello strapiombante ma che nella realtà risulta essere piacevolmente verticale ed appigliato grazie alle numerose rocce rotte di cui è composto. Verso la metà del diedro un cordone offre una prima protezione prima di raggiungere la placca sommitale. Questa risulta essere leggermente appogiata ma è tutt’altro che da sottovalutare. L’arrampicata è infatti in aderenza per gran parte dello sviluppo e le protezioni sono molto distanziate tra loro tanto che un eventuale volo può risultare davvero pericoloso. Mano a mano che si sale le prese tornano a palesarsi più di frequente e le fonde fessure verso il termine della placca spezzano la tensione accumulatasi rendendo gli ultimi metri piacevoli e spensierati. Raggiunto il bordo della parete si sterza di netto verso sinistra per raggiungere finalmente la sosta su di un alberello prima di una minuta cengia. 45m, V.

Martina in arrivo all’ottava sosta, V.
L’ultimo tiro risale lungo la lunga placconata appoggiata chiusa a sinistra da un diedro e a destra da vegetazione. Anche qui le protezioni in loco sono belle distanziate ma lungo il tratto si trovano numerose clessidre dove poter avvolgere qualche cordone. Dopo i primi metri tendenzialmente verticali si inizia ad obliquare verso sinistra in direzione dell’evidente diedro che si sfrutta per pochi metri verso il termine della placca. Lo si abbandona poco dopo per iniziare un breve traverso verso destra che permette di lasciarsi la placca alle spalle a favore del muretto finale che culmina in cima alla parete. All’inizio del muretto è presente l’ultima difficoltà della giornata: una pancia placcosa che si supera rimanendo leggermente sulla destra. Da qui in poi la roccia si appoggia e frastaglia fino a diventare sentiero detritico negli ultimi metri. Raggiunto il terrazzo si sosta su arbusto. 50m, IV+.

Simone verso il termine della via, IV+.
Via che offre spunti interessanti ma che alla lunga può risultare monotona visto che il lungo diedro che si segue è lineare e non ospita molta varietà nei passaggi. Solo dalla metà in su la via cambia un po’ aria grazie alle placche che conducono in cima alla parete. La chiodatura a tratti distanziata, e non sempre integrabile, da’ quel pepe in più a questa via di stampo alpinistico. Nel complesso non da sottovalutare visto anche che difficilmente è possibile calarsi oltre la metà.