Il monte Casale gode di molteplici itinerari, di diversa difficoltà, sviluppati in vari periodi alpinistici. Uno di questi, nonchè uno dei più famosi della parete, è la “via del missile”, aperta da Giuliano Stenghel e Alessandro Baldessarini ormai nel lontano 1981. Si tratta di una linea molto logica, mai banale, caratterizzata da diedri, fessure, placche e traversi, il tutto concentrato in sole 9 lunghezze.

La parete con l’evidente sagoma del missile in arancio sulla destra.
L’attacco della via, giunti in prossimità della base del “missile”, non è di facile individuazione perché non è ben segnalato e tutto il primo tiro non ospita alcuna protezione che aiuterebbe quantomeno ad orientare la salita. In linea di massima si sale, verso sinistra, lungo un canale abbastanza erboso fino a dove esso termina. Da qui inizia un traverso, sempre verso sinistra, con i primi passi non semplici e su roccia instabile, per poi proseguire, senza ulteriori difficoltà, fino a raggiungere una comoda cengia. Qui, un ramo di un arbusto, oppone un pò di resistenza nell’essere oltrepassato. Oltre ad esso si trova la sosta, posta su di uno spuntone con cordone viola penzolante. 35 metri, IV+.
Il secondo tiro continua brevemente il traverso iniziato in precedenza fino a sorpassare uno spigolo esposto che invita ad entrare nell’evidente diedro rosso. Qui, visivamente parlando, sembra che tutto sia poco stabile e la prima impressione è quella di prestare attenzione e cercare di non tirare le prese. In realtà la roccia, anche se scaglionata, è stata oramai ripulita dalle numerose ripetizioni e risulta abbastanza solida. Si continua nel diedro oltrepassando un grande e lungo tetto sulla destra e, dopo un passaggio in leggero strapiombo, si sosta sopra un pulpito da dove inizia il traverso del prossimo tiro. 40 metri, V.
La terza lunghezza consiste in un bel traverso verso sinistra prendendo come riferimento per le mani la marcata fessura orizzontale. E’ incredibile, e un po’ triste, constatare il quanto la roccia sia stata logorata e levigata nel corso degli innumerevoli passaggi prima di noi, tanto da dare fastidio e costringere a passare rimanendo il più rannicchiati possibile con il corpo per evitare di scivolare ad ogni passo. Tuttavia questo tiro, anche rispetto all’intera salita, risulta essere ben protetto a chiodi per tutta la sua lunghezza. All’altezza di un chiodo con cordone penzolante ci si abbassa leggermente su piccole tacche e si traversa su di esse ancora qualche metro prima di raggiungere la sosta posizionata poco più in alto. Il passo finale non è di facile lettura, ma una volta capito si giunge in sosta senza problemi. Il tiro nel complesso richiede un certo sforzo fisico e mentale. La sosta, inoltre, è costituita da chiodi vecchi e logorati dal tempo e vanno quindi valutati bene prima di essere congiunti. 25 metri, VI+.

Il caratteristico traverso del terzo tiro, VI+.
Il quarto tiro prosegue lungo la verticale, con passaggio iniziale in placca non facile, per poi rientrare verso destra all’interno di un bellissimo diedro grigio completamente da proteggere. Qui l’arrampicata, nonostante la roccia non dia molta sicurezza di stabilità, risulta invece essere molto divertente. Al termine del diedro si trova la sosta. 45 metri, V+.

Il diedro della quarta lunghezza, V+.
La quinta lunghezza prosegue su diedro poco a destra della sosta. Già alla partenza è possibile identificare dove si troverà il passo chiave: dopo una serie di chiodi un cordone bianco e lungo invita all’azzeramento. Quasi una certezza che l’asperità del tiro si trovi proprio in corrispondenza di questa sequenza di protezioni. Tutto il diedro è infatti notevolmente levigato e l’arrampicata si svolge prevalentemente su tacchette per le mani e appoggi minimali per i piedi. Bisogna sicuaramente capire bene come posizionarsi e muoversi lungo i primi metri, è un gioco di equilibrio e di resistenza e le prese comode arrivano solo dopo aver superato tutte le protezioni iniziali. Da qui in poi le difficoltà tornano ad essere contenute. Sormontato un ultimo masso si esce verso sinistra dove è presente una comoda sosta su 2 chiodi distanziati tra loro. 35 metri, VII- o A0.
Il sesto tiro è veramente meritevole: dalla sosta si puntano una serie di rocce rotte fino a raggiungere una lama staccata. Qui le numerose fessure presenti potrebbero far perdere un po’ la linea ma una bellissima lama grigia, solida, compatta e leggermente strapiombante, non lascia dubbi sulla direzione da prendere. L’arramicata in questo tratto è leggermente fisica ma spettacolare, almeno per gli amanti del dulfer. Il tiro è completamente da proteggere, è presente solo un chiodo all’inizio della lama. Due serie di friends medi rendono il tiro facilmente proteggibile. E’ importante comunque non farsi ipnotizzare dalla possibilità di piazzare materiale ovunque in quanto i 45 metri del tiro richiedono una certa dosatura della ferraglia a disposizione. 45 metri, VI+.

Umberto sul sesto tiro, VI+.
La settima lunghezza risale uno stretto camino, incastrarsi è molto facile. Pari o dispari per decidere lo sfortunato che porterà lo zaino e si parte. Nei primi metri l’unica protezione disponibile è un cordone penzolante attorno ad un masso incastonato. In alternativa portare friends enormi. In generale bisogna cercare di rimane più esterni possibili rispetto al camino usciendone infine sulla destra in prossimità della “testa del missile” che da il nome alla via. Qui c’è la possibilità di una sosta (vivamente consigliata per via dell’attrito della corda in prossimità della sosta successiva). Noi la abbiamo invece lasciata stupidamente alle spalle e abbiamo subito affrontato in verticale la variante del tiro originale che prosegue su placca. Sfruttando una lama che ci corre nel mezzo, si sale con passaggi tecnici in arrampicata sublime fino alla base di un tetto dove è presente uno spit da allungare per bene. Da qui, infatti, parte un traverso delicato, ma su buone prese, in obliquo verso destra fino ad uno spuntone su cui atrezzare la sosta (1 chiodo originale). 45m, VI alla prima sosta. 10m, V+ il secondo tratto.
L’ottavo tiro prosegue in corrispondenza di una fessura atletica sulla sinistra. Al suo termine si traversa verso destra per circa 8 metri puntando ad una zona boschiva fino a trovarsi al cospetto di un albero dove è posta la sosta. 35 metri, V+.

Stefano su uno dei tiri finali.
L’ultima lunghezza non ha nulla di diverso rispetto alle precendi. Si sale l’evidente grossa fessura puntando a 2 chiodi. I passaggi non sono mai di semplice esecuzione e, vista anche la stanchezza accumulata, devono essere sempre ben ragionati. Si oltrepassa un piccolo strapiombo per uscire su placca liscia e non proteggibile. Da qui si traversa delicatamente fino alla grossa fessura risalendola fino al suo culmine per entrare infine nel tratto boschivo in cima alla parete e sostare su pianta. 35 metri, VI.
La salita è una perla di rara bellezza. I pochissimi chiodi presenti la rendono senza ombra di dubbio una via dallo stampo puramente alpinistico. Diedri, fessure, lame, traversi e qualche passo in strampiombo rendono la linea completa di ogni stile di arrampicata. Richiede sicuramente un bel sforzo sia dal punto di vista fisico che mentale, ma una volta in cima ne vale veramente la pena.